Erano i primi anni settanta del secolo scorso quando il nonno Augusto, di frequente, mi conduceva per mano presso una latteria di Via Spartaco, una strada semi-centrale di Milano, per comperarmi un cono gelato. Ero un bambino di pochi anni ma ricordo che il nonno mi consegnava una moneta con cui pagare il gelato: 100 Lire. Era un cono da due gusti ed io lo ricordo come enorme ma, forse, è solo il ricordo di un bambino. In ogni caso, un cono gelato da due gusti, a Milano nel 2022, difficilmente si trovava a meno di 2,50 Euro; più spesso tendeva ai tre.
Partiremo da qui, in questo nostro viaggio nel tempo in cui, solo negli ultimi cinquant’anni, dal 1972 al 2022, una qualche “forza” strisciante, di cui si parla spesso ma che è difficile comprendere, ha moltiplicato il prezzo del mio gelato di cinquanta volte: un aumento del 4900%. Niente male.
Certo, è facile obiettare che può essere fuorviante stimare l’inflazione di cinquant’anni basandosi sul prezzo di un gelato, tuttavia si tratta di un simbolo rappresentativo per una serie di motivi. Non è un prodotto tecnologico, quindi il suo costo di produzione non decresce rapidamente come, ad esempio, quello dell’elettronica; è un prodotto semplice, costituito di poche materie prime e con una lavorazione poco complessa, che non è evoluta molto nel corso degli anni; non è soggetto a mode che ne modifichino sostanzialmente la domanda: si mangia il gelato oggi tanto quanto cinquant’anni fa.
È corretto, comunque, provare almeno qualche altro confronto. Sempre in tema di gelato, se vogliamo validare questi numeri eliminando la componente artigianale del mio cono, possiamo confrontare con relativa facilità i prezzi di uno stesso tipo di gelato industriale. Dalle immagini, reperibili anche online, dei tabelloni Algida esposti nei bar si ottiene il prezzo di un Cornetto del 1971, 120 Lire, e dello stesso Cornetto nel 2022, 2 Euro. In questo caso l’aumento è “solo” del 3230% circa (consentitemi degli arrotondamenti) e, per i puristi del fact-checking, include anche l’introduzione dell’IVA, nel 1972, che ammonta al 10%.
Possiamo, poi, fare un paio di verifiche sulla carta stampata, anche qui facilmente riscontrabili online. Famiglia Cristiana, nel 1972, costava 90 Lire e nel 2022 costa 2 euro, questa volta con un incremento del 4300%. Qualcuno ribatterà che, nel caso di una rivista, potrebbe variare negli anni la quota di pubblicità, falsando il confronto, e allora verifichiamo il prezzo di Tex Willer, fumetto sempreverde che non contiene pubblicità: Tex nel 1972, 250 Lire; nel 2022, 4,40 Euro, per un 3400% di aumento.
Da ultimo, per non diventare pedanti, controlliamo solo quanto costasse una pizza margherita, nella stessa storica pizzeria, oggi e cinquant’anni fa e troviamo un aumento di prezzo del 4400% circa.
In definitiva, non credo sia troppo contestabile se assumiamo come aumento medio in cinquant’anni il quattromila percento circa, che corrisponderebbe ad un credibilissimo incremento medio del 7.7% annuo, per cinquant’anni in fila.
Due cose vanno evidenziate al riguardo. La prima è che esistono degli indici pubblicati da istituti governativi, in Italia l’Istat, Istituto Nazionale di Statistica, che misurano l’inflazione dei prezzi al consumo negli anni. Il prezzo del mio gelato, rivalutato secondo l’indice Istat, dopo cinquant’anni di inflazione sarebbe di 0,91 Euro ma, in realtà, abbiamo visto che il prezzo reale del 2022 è di 2,50 Euro. L’indice ufficiale che misura l’inflazione negli anni sembrerebbe abbondantemente sottostimato: questo inizia ad insospettirci.
Il secondo aspetto che accompagna questi enormi aumenti di prezzo è che siamo tutti abituati a considerarli fisiologici, normali, inesorabili come il sorgere del sole. In altri termini, siamo tutti stati indotti a credere che aumenti di questo tenore siano l’ineluttabile prodotto di un’economia nel suo regolare funzionamento e, addirittura, che una stabilità o, Dio non volesse, una diminuzione dei prezzi al consumo sarebbero sintomo di una pericolosa decrescita dell’economia nel suo complesso.
Scopriremo invece in queste pagine, per chi avrà la pazienza di seguirmi in un percorso non immediato, che non c’è nulla di normale, nulla di ineluttabile e, tantomeno, alcunché di desiderabile in questa spirale inflattiva. Si tratta di una tassa, ormai comune a tutti gli Stati, tanto più disonesta in quanto occulta e dissimulata ad arte. Una piaga che affligge economie pesantemente manipolate, non certo a beneficio dei comuni cittadini.
Ci interessano, in particolare, gli ultimi cinquant’anni perché includono gli anni ‘70 e ‘80 in cui l’inflazione ha raggiunto picchi elevatissimi, ma anche perché segnano bene la transizione da un periodo in cui una famiglia poteva sostentarsi in modo relativamente agiato con lo stipendio di un solo componente, ad un periodo, in realtà già in corso da almeno due decenni, in cui la stessa famiglia necessita di due stipendi per ottenere un tenore di vita paragonabile. E, a chi dipinge questo come un desiderabile effetto dell’emancipazione della donna, mi permetto di opporre la mia convinzione che, se una donna (come anche un uomo) potesse permetterselo, in molti casi non disdegnerebbe di potersi dedicare ai propri figli anziché lavorare quaranta ore a settimana. Il problema è che non può più.
Va ammesso che non è di sola inflazione che ha sofferto il potere di acquisto di una famiglia media. Un ruolo non trascurabile riveste il costo dell’energia, del petrolio in particolare, che rimase molto basso fino agli inizi degli anni settanta e che ora è invece alto, rispetto alle medie storiche, sia per ragioni macroeconomiche sia per motivi di semplice disponibilità. Ma non è l’incremento dei costi energetici che può spiegare da solo il nostro quattromila percento di aumento dei prezzi. Il costo di un barile di petrolio dal 1972 al 2022, corretto per l’inflazione, è aumentato di circa 3,2 volte: non di quarantuno.
Per comprendere i meccanismi reconditi – e perversi – dell’inflazione, dobbiamo prima studiare il denaro e poi seguirne l’evoluzione nella storia. Per fare ciò non possiamo limitarci agli ultimi cinquant’anni: dobbiamo partire da molto, molto più lontano. Mettetevi comodi…